Essere genitori

Il fenomeno del bullismo

Siamo tutti a conoscenza dell’aumentare dei fenomeni di bullismo di cui, spesso, sentiamo riempirsi le cronache di telegiornali e trasmissioni televisive.

Raccontano di situazioni in cui un bambino/a diventa vittima di un carnefice, il bullo, spesso sostenuto ed incoraggiato dal gruppo di cui fa parte. Nei casi peggiori qualcuno del gruppo decide di immortalare l’aggressione, l’umiliazione inflitta, registrando con il smartphone l’accaduto e pubblicandola nei social.
I dati sono preoccupanti e ci dicono che dal 2012 al 2014 gli episodi di bullismo sono aumentati dal 8,4% al 16,5% , coinvolgendo sia maschi che femmine.

Ma cosa si cela dietro queste dinamiche? Cosa porta un bambino a maltrattare con gesti e parole un suo coetaneo procurandogli sofferenza?

In questo articolo vorrei proporvi di andare oltre le categorie semplicistiche di buono e cattivo che vedono il bullo ed il gruppo confinati in quest’ultima e la vittima nell’altra. A mio parere, infatti non ci permettono di risalire alle cause da cui originano tali fenomeni, ostacolandoci così nell’intervenire efficacemente. Additare la scuola come causa del bullismo piuttosto che internet nel caso di cyberbullismo non ci consente di vedere effettivamente l’origine della violenza.

E quindi facciamo un salto indietro per comprendere da dove provenga la violenza insita nel bullismo. Durante la crescita del bambino, in particolare nei primi tre anni di vita, genitori, insegnanti avranno notato la presenza di diversi comportamenti aggressivi.                                                                           Siamo abituati a pensare che l’aggressività sia qualcosa di negativo e distruttivo, in realtà vi stupirà sapere che l’aggressività rappresenta una pulsione assolutamente funzionale e sana nella fase di crescita del bambino. Pensiamo ad esempio ad un neonato che prende il latte dal seno della propria madre. Quante mamme avranno fatto esperienza di quei momenti dolorosi e non sicuramente piacevoli in cui il piccolo morde il seno? Un atto che può sembrare strano e difficile da comprendere ma che è assolutamente normale.
Resta inteso che il bambino in quei momenti non intende consapevolmente fare del male alla propria mamma ma questa aggressività che mostra fa parte del rapporto tanto quanto l’amore. Accompagna i momenti del nutrimento, della fame ma anche dell’insoddisfazione e della rabbia originati dall’insoddisfazione di un bisogno.                                                                                                      

Immaginiamo ora un bambino di due anni che urla perché non vuole fare qualcosa, o lancia un oggetto per colpire in segno di opposizione o ancora si ostina a ripetere No a tutte le richieste che gli vengono poste anche queste sono manifestazioni di aggressività che per quanto irritanti e difficili da sopportare per un genitore fanno parte del processo di crescita.                                                                         

Questi comportamenti per quanto diversi tra loro nei significati hanno un comune denominatore: il bisogno del bambino di autoaffermarsi, cioè di far sentire la propria persona, le proprie esigenze che sono diverse da quelle del genitore. L’aggressività del bambino diventa indispensabile per riuscire a distaccarsi gradualmente dai propri genitori, costruendo gradualmente la propria identità e conquistandosi un proprio spazio.
Un impulso normale che però va educato e gestito per evitare che si sviluppi degenerando in violenza.

Cosa può fare un genitore?

Per prima cosa occorre che un genitore riconosca i comportamenti aggressivi del proprio figlio evitando di ignorarli, come spesso può capitare, lasciando il piccolo in balia di se stesso ma neanche reagire in maniera eccessiva, ad esempio urlando con rabbia o mostrandosi completamente impotenti. La reazione eccessiva del genitore da l’idea al bambino che la sua aggressività sia incontenibile e dilagante tanto da sovrastare lo stesso genitore. Ciò non gli consente di avere un modello di riferimento per gestire i momenti di rabbia, da interiorizzare gradualmente così da servirsene in futuro.
Diciamo che il messaggio che dovrebbe passare dal genitore è: “ho capito e sento che sei tanto arrabbiato per questa cosa. Mi sono accorta di quello che hai fatto che non va bene ma non è nulla di catastrofico ed io, in quanto adulto, sono qui che sopravvivo alla tua rabbia.”.

E’ fondamentale cioè che il genitore sopravviva agli attacchi aggressivi del bambino, solo così può sostenerlo nel diventar un adulto capace di regolare le proprie emozioni. Un utile suggerimento da adottare con i bambini più piccoli può essere quello di costruire insieme una scatola della rabbia, decorandola a piacere. Può trattarsi di un qualsiasi oggetto contenitore: una scatola, un vaso, e che possa essere facilmente spostato dal bambino sul quale convogliare la rabbia, nei momenti cruciali, attraverso urla, scarabocchi, calci…

Sostenere il proprio bambino fin da piccolo nel gestire l’aggressività è uno strumento fondamentale per evitare che questa si sviluppi e diventi violenza.                                                                               
Prima delle scuole medie e superiori in cui possono esordire episodi di violenza bisogna considerare i nidi e le materne. Già qui, infatti, si trovano bambini di ogni estrazione sociale che danno calci e morsi ai coetanei. Un progetto realizzato dall’Istituto di Ortofonologia, con il comune di Roma presso gli asili nidi comunali chiamato “Mancano gli abbracci” si è occupato di insegnare agli educatori il massaggio pediatrico per favorire il contatto corporeo con i bambini. Grazie a questo intervento i comportamenti aggressivi molto forti nei bambini anche piccolissimi, che si mordevano, si picchiavano, sparirono e l’anno seguente i bambini che avevano partecipato al progetto erano decisamente più sereni rispetto agli altri e capaci di rapportarsi ai propri compagni senza ricorrere all’aggressività.   

Le storie di bullismo nascondono vissuti di sofferenza da entrambe le parti: il bullo e la vittima. Dietro un bambino problematico c’è un bambino, spesso solo, con la propria rabbia che non sa come gestire.                                                                        

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